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La compagnia dell'anello Trekking nella storia

Il salto del granatiere. Sentieri della Grande Guerra

Zona sacra dove nel 1916 combatterono e persero la vita più di seimila granatieri di Sardegna. In onore del loro coraggio e per la strenua lotta contro gli austriaci un sacrario ricorda il loro martirio. Il “salto del granatiere” ricorda la battaglia che si tenne tra il maggio e il giugno 1916.

Era tanti anni che volevo fare i sentieri della Grande Guerra e qualche giorno di vacanza a Posina in provincia di Vicenza è stata l’occasione giusta. Su consiglio del nostre oste, dopo la 52 gallerie del Pasubio, ci siamo spostati sull’Altopiano dei Sette Comuni (direzione Asiago) con obiettivo “il Salto del granatiere – Monte Cengio”.

Il Sentiero dà la possibilità, con un giro ad anello di poche ore e con poca fatica, di visitare uno dei posti più spettacolari e ricchi di storia della Prima Guerra Mondiale. Unica controindicazione è se si soffre di vertigini, nel qual caso lo sconsiglio fortemente, visto che la gran parte del cammino è su un sentiero scavato nella roccia e a picco sulla Valle dell’Astico e sulla retrostante pianura. Un panorama da togliere il fiato.

Ecomuseo della Grande Guerra

L’intero sentiero è diventato un museo a cielo aperto. Si incontrano infatti trincee, punti di avvistamenti, ricoveri d’occasione, gallerie scavate nella pietra, e una cappella e un sacrario per ricordare il coraggio dei Granatieri di Sardegna, la brigata che era posta a difesa del monte e che perse complessivamente, assieme ai fanti delle Brigate Catanzaro, Novara, Pescara e Modena, tra morti, dispersi e feriti, 10.264 uomini, quando l’esercito imperiale austriaco sferrò un imponente attacco nell’ambito della Strafexpedition, fra il 29 maggio e il 3 giugno 1916, data in cui si immolarono. 

Dove si parte

Il punto di partenza del sentiero è in corrispondenza del Piazzale “Principe del Piemonte” a quota 1286 m. dove si può posteggiare la macchina. Da qui si imbocca il sentiero a sinistra e si inizia ad entrare ed uscire dalle prime gallerie scavate nella roccia (meglio portarsi una torcia anche se non sono molto lunghe), lungo l’itinerario ci sono diversi punti informativi, si procede nel bosco per qualche minuto fino ad arrivare al punto più bello e incredibile si scende un breve scala ricavata nella roccia. Consiglio di scendere completamente e tralasciare l’altro sentiero in piano (che poi porterà alla cappella – ci si arriva dopo). Noi si continua a scendere fino a che non si inizia un sentiero a picco sull’altipiano che segue la montagna, qui si incontrano gallerie, postazioni di artiglieria e punti di avvistamento. Lo sguardo si perde tra le montagne intorno e la valle sottostante. Un brivido corre lungo la schiena a pensare alla guerra che si è combattuta qui quasi cento anni fa.

Il salto del granatiere

Il nome deriva dal triste episodio quando i Granatieri di Sardegna, ridotti allo stremo, disperati, in un furioso corpo a corpo con i soldati dell’esercito austro-ungarico, in molti si buttano giù, avvinghiati al nemico, dallo sperone di roccia che ora ricorda il loro sacrificio.

Le parole di un sopravvissuto: 

«Improvvisamente poi verso le 2 pomeridiane, il nemico ci assalì alle spalle e contemporaneamente anche di fronte, data la sorpresa e le condizioni disperate in cui ci trovavamo si svilupparono una serie di combattimenti singolari con bombe a mano e fucileria da parte del nemico e all’arma bianca da parte nostra… Fui testimone oculare di atti di eroismo dei miei granatieri, e di quelli della sezione mitragliatrici che si trovava immediatamente alla mia destra, di cui un caporal maggiore, servente continuò a far fuoco coll’arma fino a che fu ucciso a baionettate sul pezzo e così pure le vedette, sorprese dall’attacco furono finite a baionettate».

La statua realizzata con schegge di granate in omaggio ai granatieri eroi

Raggiunta la sommità a circa quota 1450 si trova un sacrario che ricorda il sacrificio e il coraggio di oltre diecimila uomini da qui si può prendere la strada militare che ci porterà fino alla chiesetta intitolata ai Granatieri di Sardegna poi velocemente al punti di partenza. 

Lungo tutto il percorso si possono fare breve digressioni seguendo le indicazioni e visitare, gallerie, trincee e punti di avvistamento.

In breve 

Lunghezza sentiero: 6 km circa tra andata e ritorno (anello)

Dislivello 300 m. (A/R)

Tempo percorrenza: 3/4 ore visitando tutto

Difficoltà: facile

Dal punto di partenza c’è un rifugio dove è possibile mangiare

Altre info

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Alla scoperta della Riserva Torbiere del Sebino

Per chi ama la natura e magari capita in Franciacorta – perché come me ha la passione delle bollicine – consiglio la visita alla Riserva Naturale Torbiere del Sebino, un posto unico e fuori dal tempo dove la natura segue un ritmo antico e prezioso

Siamo in provincia di Brescia, vicino al lago d’Iseo che gioca un ruolo fondamentale per questa riserva naturale. Fondata nel 1984 le Torbiere del Sebino sono un insieme di specchi d’acqua, piccoli boschi, canneti e prati, di fatto una delle zone umide più estese della Pianura Padana centrale e questo le rende particolarmente preziose perché la maggior parte delle paludi padane è stata prosciugata per far posto a coltivazioni e cemento, annullando di fatto uno degli ecosistemi più ricchi di vita presenti in Italia.

La visita

La visita consiste in una bella passeggiata, diversamente lunga. Ci sono due percorsi: quello completo che permette di visitarla per intero in circa due ore e mezzo / tre a seconda di quanto tempo si vuole dedicare ai diversi punti informativi. E il percorso più breve che dà modo di visitare alcuni dei punti più belli e panoramici. Noi abbiamo optato per la visita completa e ne è valsa la pena. 

I punti d’accesso sono tre (da Iseo, Cortefranca, Provaglio d’Iseo, che io consiglio visto che è dove siamo entrati noi, a ridosso del Castello, dove la segnaletica è completa e c’è anche un comodo posteggio. 

Cosa è una torbiera?

Prima della Visita alla Riserva per me la torba era quella cosa che regala ad alcuni whisky, soprattutto scozzesi, quel gusto di affumicato, come il famoso Lagavulin. 

Invece ho scoperto che a metà del 1800 la torba era molto preziosa da queste parti in quanto era il sostituto più economico di legna e carbone.  

“Il lavoro di estrazione della torba si svolgeva manualmente, utilizzando uno strumento affilato, detto “luccio” – si legge su uno degli spazi informativi lungo il sentiero –  Si estraevano dei parallelepipedi di torba di circa 15 cm per lato, che venivano poi tagliate a pezzi ed essiccate al sole. Si trattava prevalentemente di manodopera locale e il suo utilizzo favorì in maniera significativa lo sviluppo economico regionale, grazie al suo impiego in numerosi settori dell’industria, che all’epoca utilizzava le macchine a vapore: nelle filande e fornaci, negli opifici e per i treni della tratta Brescia-Iseo-Edolo. Il suo utilizzo cessò completamente intorno agli anni ’50 del ‘900”. 

L’importanza delle paludi per il nostro ecosistema

Ormai abituati a vivere in mezzo al cemento, la palude evoca in me l’immagine di zanzare giganti pronte a pungermi e succhiarmi il sangue senza sosta. Invece no. Non sono stata punta e sono sopravvissuta alla mattina nella palude senza punture di zanzare ( ho sofferto un po’ il caldo ma ad agosto non è così strano). Però ho potuto apprendere che se da un parte la bonifica delle tante aree paludosi nella Pianura padana ha rappresentato un’occasione di sviluppo e di riscatto per tanti uomini e tante donne, ciò ha causato anche una grave perdita di biodiversità.

Le paludi, infatti, svolgono funzioni fondamentali per l’equilibrio ecologico di tutto il territorio: controllano le inondazioni, effettuano un’efficace fitodepurazione delle acque trattenendo sostanze inquinanti sia organiche sia chimiche, bloccano la dispersione di anidride carbonica, talvolta in misura maggiore delle foreste, regolano il microclima. Da esse dipende la vita di specie di uccelli e altre specie animali e vegetali”.

Non ci sono più paludi

Dopo cento anni di “bonifiche” in tutta Europa sono scomparse il novanta per cento delle zone umide, per questo l’Unione Europea ha messo a punto una Strategia per la Biodiversità, che ha l’obiettivo di salvaguardare le zone umide.

Esse rappresentano un indispensabile rifugio per animali e vegetali che non potrebbero vivere in nessun altro luogo nel raggio di molti chilometri.

La Riserva Naturale del Sebino – si legge nella scheda che ci dà il benvenuto nel sito: è una zona umida di importanza internazionale, ospita decine di specie di uccelli migratori, che qui trovano rifugio e cibo durante i loro viaggi intercontinentali. Un esempio emblematico sono le rondini, senza le paludi, ricche di canneti e insetti, non sarebbero in grado di affrontare il lungo viaggio che le conduce dalle coste del nord Africa all’Europa continentale.

Prima di entrare ricordatevi di lasciare due euro, saranno investiti nella tutela di questo prezioso scrigno di biodiversità.

Buona visita!

Info: https://torbieresebino.it

Immancabile selfie!

Le foto sono di Ugo Roffi.

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Fosdinovo e i suoi borghi

Trekking ad anello in Lunigiana da Fosdinovo agli antichi borghi medievali di Tendola e Pulica

Da queste parti la chiamano la Lunigiana “che guarda il mare” siamo tra La Spezia e Massa, ci siamo arrampicati fino all’antico borgo di Fosdinovo che con il suo castello trecentesco domina la costa tirrenica. Siamo arrivati fin quassù per la proiezione del nostro docufilm “Giotto. Il Novecento proletario di Giordano Bruschi” al Museo Audiovisivo della Resistenza e abbiamo deciso di fermarci un giorno in più per esplorare la zona con un bel trekking ad anello.

Il Castello medievale dei Malaspina a Fosdinovo

Da queste parti in realtà non c’è che l’imbarazzo della scelta: mare, monti, vino. E quest’ultima alternativa è decisamente invitante visto le tante cantine che vinificano in zona: sulla costa la famosa Bosoni se si sale verso Fosdinovo si incontrano Terenzuola e Lambruschi… giusto per nominare i più conosciuti.

Vale una visita anche il bellissimo Museo Audiovisivo della Resistenza dove che ogni anno dal 2008 vengono organizzati incontri, presentazioni e un Festival “Fino al cuore della rivolta”. Cultura ma anche enogastronomia. Da non perdere.

Museo Audiovisivo della Resistenza

Tornando alla trekking abbiamo scelto un bel percorso ad anello con partenza da Fosdinovo (550m slm) che porta prima al Museo della Resistenza in località La vagina e poi negli antichi borghi di Tendola e Pulica. Quasi tutto il tracciato è nel bosco e può essere fatto anche nelle giornate più calde (noi l’abbiamo fatto il 14 luglio con un gran caldo).

lungo il sentiero, panorama Foto Ugo Roffi

Si posteggia appena fuori dal paese di Fosdinovo, lasciata la macchina si continua sulla strada asfaltata che sale per circa 50/60 metri fino a quando non si vede sulla destra il sentiero dove sono anche indicati i percorsi.

imbocco percorso

Si cammina in piano per una ventina di minuti, dopo poco inizia a salire per un tracciato un po’ dissestato (ci passano le biciclette) e si sale fino ad arrivare a un trivio. Da qui se si va verso sinistra si raggiunge il Museo della Resistenza dopo circa una ventina di minuti, noi invece abbiamo imboccato il sentiero che porta a Tendola che prima scende in modo deciso per poi risalire e arrivare dopo circa un’ora in questo meraviglioso piccolo borgo.

Verso Tendola

Vista dell’antico borgo di Tendola

Vale la pena proseguire lungo la stradina principale e visitare brevemente questo borgo, le sue stradine strette, gli edifici color pastello. Si arriva infine in una piazzetta con vista qui c’è una fontanella (acqua potabile) e una panchina dove abbiamo fatto pausa panino.

Tendola – piazza con fontana

A Tendola si trova anche la casa dove è nato Toto Cutugno e poco più su la piccola piazza degli Emigranti che segnala ancora una volta lo spopolamento di questi borghi quasi montani nel secolo scorso.

Piazza degli emigranti – tendola
Tendola, vicolo

Finita la visita si torna sulla strada principale asfaltata (punto di arrivo precedente girare a sinistra) e si segue l’indicazione per Pulica (segnavia 285).

Verso il borgo medievale di Pulica

Si continua a camminare sull’asfalto per qualche minuti fino a trovare sulla sinistra l’indicazione per riprendere il percorso nel bosco. Da qui si prosegue su sentiero pianeggiante per un’ora circa e per poi riprendere risalire per mezz’ora. All’uscita dal bosco e incontrano alcuni campi e villette, si superano e salendo in modo deciso (tutto a sinistra) si può visitare il borgo medioevale di Pulica. Ne vale la pena. 

La piazza che segna l’entrata nell’antico borgo di Pulica
Una delle due strade (vicoli) di Pulica

Borgo medievale caratterizzate da due strette vie che lo tagliano e una piazzetta che si incontra subito. Una bellissima fondata del 1300 dà il benvenuto e ti invita alla visita di questo gioiello della Lunigiana. Intorno sono il verde dei boschi e in lontananza le Alpi Apuane.

La fontana medievale di Pulica

Terminata la visita si torna sulla strada (asfaltata), si segue l’indicazione per Fosdinovo (discesa). Da qui in poi si prosegue per lo più su strada asfaltata, e ogni tanto su sentiero fino ad arrivare dopo circa un’ora ad incrociare la strada principale sempre asfalta qui ci si trova a un bivio e bisogna scendere a destra (non è segnato) e dopo circa 20 minuti si raggiunge il punto di partenza chiudendo l’anello.

Il percorso è segnato abbastanza bene per ulteriori indicazioni consultare il sito del comune di Fosdinovo con tutte le indicazioni.

Percorso: km 14 – durata 5 ore compresa la sosta per visitare i due borghi (non Fosdinovo) dislivello 400m.

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La cascata du Manzù

Sono rimasta a bocca aperta quando l’ho vista: una cascata nel mezzo dell’Appennino, ma soprattutto perché nonostante bazzichi la zona da tanto tempo non ne avevo sentito parlare.

È la cascata del Lago di Manzù raggiungibile in circa un’ora e mezza se non ci si perde lungo il tragitto… visto la poca segnaletica.

Il percorso non è particolarmente difficile, a parte nell’ultima parte quando sì è in prossimità del lago che in alcuni tratti scende deciso e leggermente esposto. La difficoltà è trovarlo.

Noi ci siamo persi diverse volte, infatti.

Inizio percorso

Intanto da dove si parte. Arrivati ai Piani di Praglia (Ceranesi, Genova) si supera la trattoria La Chellina si prosegue tra curve e tornanti fino a che non si trova sulla sinistra un’area picnic attrezzata detta “dei cacciatori” si torna un pochino indietro fino a che non si incontra – sempre sulla sinistra – uno slargo sterrato e dal lato opposto della strada ce ne è un altro. Si lascia la macchina lì e si parte. Lato sinistro vista mare. 

Per 15 minuti circa si procede sul sentiero sterrato ampio e panoramico, bisogna prestare attenzione perché ad un certo punto ad un bivio bisogna imboccare il sentiero tra due pietre – dove compaiono due cerchi gialli, uno per parte.

Se si procede dritti – come sbagliando abbiamo fatto noi – si sale per una decina di minuti e si arriva su un altopiano dove in lontananza si vede quello che ci aspetterà alla fine del percorso: la cascata e il lago.

Poi però non si può andare oltre e cosi abbiamo capito di avere sbagliato strada… 

Quindi se non volete fare la sosta panoramica prendete il sentiero segnalato con un cerchio giallo per parte, che procede prima in piano poi in leggera discesa, quando la discesa si fa molto scoscesa, fermatevi e alla vostra sinistra vedrete una frana e dall’altra parte il cerchio giallo. 

L’albero con il cerchio giallo. Da lì riprende il sentiero

(Questo è l’altro punto in cui ci siamo persi, continuando a scendere fino a che non era quasi più possibile procedere).

Se ci sono state forti piogge, scorrerà un pò di acqua sul fondo del terreno, passate dall’altra parte con pochi passi e il sentiero riprende per qualche minuto in piano poi la discesa continua più ripida e si entra nel bosco.

Ugo nel bosco

Qui inizia la parte più spettacolare del percorso: lo sguardo alterna vedute a 360 gradi con tratti nel bosco dove si sente forte l’acqua che scende impetuosa dalla cascata per fluire poi nel torrente Stura, che prosegue a valle, e raggiungere Masone.

Si scende per circa 15 minuti e poi superati un po’ di massi sul letto del fiume si arriva a destinazione. Il lago è ampio e profondo e la cascata veramente bella e impetuosa. Certo noi abbiamo fatto il trekking dopo una settimana di forti piogge e quindi l’acqua ci ha accompagnato lungo tutto il percorso, nel vero senso della parola: i piedi erano spesso nel fango e più volte abbiamo attraversato piccolo ruscelli.

La Cascata e il lago dove in estate è possibile fare il bagno

In estate la cascata non ha la forza e la portata del periodo piovoso che caratterizza l’autunno però si può fare il bagno.

Il percorso non è difficile ma presenta qualche punto critico. Lo sconsiglio se ha piovuto molto nei giorni precedenti.

Sono circa 7,8 km ma noi ne abbiamo fatti 11 perché ci siamo persi diverse volte.

Circa due e ore e mezza la durata del percorso complessivamente. Si torna indietro dalla stessa strada. 

Le foto sono di Ugo Roffi

A fine percorso, contenti anche senza il tuffo!
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Sulle tracce di Pellizza da Volpedo

Un borgo nella storia

Vale la pena venire a visitare questo piccolo borgo in provincia di Alessandra a due passi da Tortona, per il grande interesse storico culturale e per la sua semplice bellezza. Inserito tra i borghi d’eccellenza grazie ad un centro storico  ancora  perfettamente conservato, ma soprattutto perché qui visse e lavorò il pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907) famoso per il quadro “il Quarto Stato” di cui una riproduzione in grande formato è situata in una delle piazze del paese. Da qui – grazie a 18 pannelli che riproducono altrettanti quadri, magnificamente contestualizzati – è possibile immergersi nelle atmosfere seguendo un itinerario che porta ad attraversare gran parte del paese invitandoci a guardarlo con l’occhio del pittore.

Il centro storico – mura

Il Quarto Stato in breve

Mi ha sempre affascinato questo quadro che ha un retroterra così importante e trovarcisi davanti proprio nei luoghi dove Pellizza dipingeva… – anche se è una riproduzione – beh è stato emozionante.

Realizzato tra il 1898 e il 1901 il quadro simbolo del proletariato che prende coscienza di sé e della sua forza venne subito apprezzato dalla stampa socialista che lo riproduce e lo utilizza per comunicare le istanze sociali e politiche dell’epoca ma nonostante gli sforzi del pittore viene esposto una sola volta a Roma nel 1907, nello stesso anno Pellizza si suiciderà. Nel 1920 il quadro viene acquistato per sottoscrizione pubblica ed esposto al Museo del Novecento di Milano. La fortuna del quadro crescerà nel tempo fino a diventare il simbolo della lotta di classe e della consapevolezza da parte del proletariato della necessità di lottare per i propri diritti civili e sociali.

Piazza Quarto Stato con la riproduzione del quadro – Foto Ugo Roffi

La genesi del Quarto Stato secondo Pellizza da Volpedo

«Tre anni or sono, io ero un socialista in buona fede: che vuoi? La miseria del proletariato mi commuoveva. Maturando le idee e pensando ai fatti di Milano [la repressione ordinata dal generale Bava Beccaris nel 1898], entrai invece in questa condizione che desidero esplicare con questo quadro: – I lavoratori sani, che ispirano una fermezza buona di carattere, dalla faccia robusta, dalla nerboruta persona, hanno essi pure il loro fatale andare. L’età dell’oro quando tutti, si narra, stavano molto bene, è però una bella età che si perde nel buio dei secoli e di cui il quadro accenna con un ragno di sole… Ma il lavoratore diventa, in seguito schiavo nell’età greco-romana, e tu vedi il cielo rannuvolarsi vedi poi una tetra nube incombere quasi sulla campagna, segno dell’età di mezzo, assai malagevole per il lavoratore: vedi poi quindi un sereno azzurro, simbolo de’ tempi che seguirono l’Ottantanove. La massa dei lavoratori che va via ingrossandosi procede serena, fiduciosa in un suo cammino nell’ora tarda del mattino, non ancora però sul meriggio: il meriggio verrà dopo per lei, in cui essa coglierà il frutto del suo lavoro, e, liberata dagli affari andrà a godere il bianco pane fragrante su la mensa apparecchiata. Il Quarto Stato poté essere quale io lo volli; un quadro sociale rappresentante il fatto più saliente dell’epoca nostra; l’avanzarsi fatale dei lavoratori…»

Il testo è tratto dal pannello espositivo sito in Piazza Quarto Stato a Volpedo

Il pescheto – Foto Ugo Roffi

Sentieri pellizziani

Nel 2011 l’Associazione Pellizza da Volpedo e il Comune di Volpedo in collaborazione con il CAI di Tortona e con l’Associazione Pietra Verde hanno realizzato due itinerari campestri ad anello (uno verde e uno rosso) sulle colline che circondano Volpedo che danno l’occasione di immergersi nelle atmosfere dei quadri del grande artista. 150 e 153 sono i numeri dei due itinerari entrambi ad anello che spesso si sovrappongono, soprattutto a causa della segnaletica che soprattutto una volta entrati nel bosco, tende a essere meno frequente. 

Inizio itinerario

Sulle colline tra i filari di pesche

Noi abbiamo scelto il 150 (itinerario rosso segnaletica CAI con cartellini a bande rosso -bianco-rosso) che parte dalla piazza Perino (piazza del Mercato della frutta) e si segue la segnaletica che porta fuori dal paese. Lungo il percorso si incontrano diverse riproduzioni di quadri di Pellizza, si segue la segnaletica fino ad abbandonare la strada asfaltata che va verso Pozzol Groppo per inoltrati lungo una strada campestre sopraelevata. Lontani dalle ultime case inizia a sentirsi il profumo della terra che è stata arata da poco, il paesaggio cambia, i colori si fanno più intensi, il marrone della terra, il verde dell’erba e il blu del cielo. E filari di alberi di pesche a centinaia, migliaia… e lì realizzi che è vero sei a Volpedo, famoso proprio per le pesche.

Panorama lungo il tragitto – Foto Ugo Roffi

A Volpedo, il trekking meglio in inverno

È vero pesche non ce ne è ma proprio la temperatura invernale (è il 19 febbraio) dà la possibilità di fare una bella escursione, quasi sempre esposta al sole e non troppo faticosa. Questi due itinerari mi sento di sconsigliarli in estate, visto che si sviluppano prevalentemente tra i campi da frutta e strade aperte.

Il piccolo borgo di Ca’ Barbieri in cime all’altopiano

Sentiero 150 o 153 questo è dilemma

Perdersi è difficile perché ci si riesce ad orientare abbastanza bene avendo quasi sempre la prospettiva del borgo. Pero devo dire che noi qualche difficoltà l’abbiamo avuta, infatti abbiamo seguito in parte il 150 e poi il 153… ne è venuto fuori un bellissimo trekking di quasi tre ore e mezza che rappresenta veramente un’immersione nei paesaggi pellizziani. Veniamo quindi all’itinerario così come l’abbiamo fatto noi.

L’escursione

Riprendiamo dal sentiero leggermente sopraelevato… si procede sempre dritti fino a quando inizia una salita dolce che procede fino ad arrivare ad un altopiano da qui si ammira un bel panorama, alle nostra spalle Volpedo, tutto intorno le colline del Monlealese. Si continua tenendo la sinistra, si scende leggermente fino ad arrivare al piccolissimo borgo di Ca’ Barbieri da poco restaurato dove si possono ammirare antiche abitazioni e casali. Arrivati qui si sbuca sulla strada asfaltata, si va verso destra, in questo punto si ritrova la segnaletica e si procede seguendo il 150 fino ad arrivare ad un bivio dove si abbandona la strada asfaltata e qui noi ci siamo persi. O meglio non trovando più la segnaletica del 150 ma solo 153 o 153 A abbiamo preso quest’ultimo svoltando quindi a destra e salendo leggermente. (Però a escursione finita e riguardando la mappa abbiamo pensato che forse , proprio in questo punto, se avessimo continuato ancora un po’ sulla strada asfaltata… forse avremmo ritrovato la segnaletica 150… ) Invece siamo entrati in un bosco che dallo stato della vegetazione non ci è sembrato molto frequentato, ci vuole quindi un pochino di spirito di avventura: si scavalca qualche albero caduto, ci si infila in qualche cespuglio… insomma niente di che… qua e là rispunta anche la segnaletica… sempre 153A si prosegue per un po nel bosco (circa un’oretta) fino ad incontrare un agriturismo e da qui inizia una lunga discesa su strada di cemento tra i campi e davanti a noi il borgo di Volpedo. Anello chiuso, con un po’ di avventura!

Uno dei pannelli espostivi lungo il percorso

Il ristoro

Visto che di pesche non se ne trovavano (se non sotto spirito) abbiamo deciso di spostarci qualche chilometro più avanti e a Tortona ci siamo consolati con un bel bicchiere di timorasso, vitigno eccezionale tipico della zona e una formaggetta di Montebore, eccellenza del tortonese. Entrambi consigliatissimi.

Campi – Foto Ugo Roffi

Itinerario provato il 20 febbraio 2023

Durata 3 ore mezza circa – Partenza e arrivo da Volpedo

Informazioni itinerario: link

Informazioni per visitare il borgo e il museo: link

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Nel cuore della Valle Pentemina

Trekking nella valle Pentemina tra boschi, borghi e antiche leggende

Tinello, uno dei borghi della Valle Pentemina – Foto Ugo Roffi

Isolata e un po’ dimenticata la Valle Pentemina non conquista al primo sguardo, ci vuole qualche ora per capirne la bellezza, la si deve attraversare e con calma guardarla dalle diverse prospettive mentre lentamente si sale e ci si addentra, nel silenzio delle montagne e dei pochi umani che la abitano.

Casolari lungo le valle

Negli anni ho raggiunto Pentema da diversi sentieri e cammini, mai da questa valle un po’ in disparte.

Siamo partiti, io e Ugo, – come al solito un po’ tardi – da Genova e dopo avere fatto la Doria Creto, raggiunto e attraversato Montoggio, quasi alla fine del paese si vede l’indicazione  per Gazzolo e ad un bivio si imbocca una strada stretta, noi dopo meno di un km o poco più abbiamo posteggiato, in realtà si può proseguire ancora e poi lasciare la macchina nel piccolo slargo/piazzetta del borgo.

foto Ugo Roffi

Il percorso inizia quando si lascia sulla sinistra l’ultima casa del piccolo nucleo, si prosegue ancora su asfalto fino a incontrare un ponte (Ponte nero) da qui si inizia a salire dolcemente ma costantemente. Piano piano ci si addentra nella valle, qua e là se si alza lo sguardo si vede qualche nucleo di case incastonato tra rocce e costoni… molte sono abbandonate, altre non si riesce a capire chi possa abitarci tanto dura sembra la vita lassù… qualche edificio invece è stato ristrutturato da poco. Guardare il mondo da questa valle silenziosa deve essere un’esperienza da provare!

Una leggenda narra che la valle, nei secoli scorsi, fosse frequentata da tipi poco raccomandabili, tra questi un bandito in fuga che trovò riparo a Pentema e siccome prima di morire si pentì… il paese divenne Pentema. Verità o leggenda chissà… ma in tanto si sale…

Dopo circa un’ora e mezzo si giunge a un bivio, la strada a sinistra porta alle frazioni di Vallecalda, Poggio e CaseVecchie a destra viene segnalata Pentema. Si segue per Pentema.

Dopo una brusca discesa si riprende a salire e dopo poco più di mezz’ora si raggiunge Serre di Pentema. Un tipico borgo del nostro Appennino: si entra scendendo una scalinata e si entra nel suo cuore fatto di antiche case contadine. Si alza lo sguardo e dall’altra parte c’è il resto della valle, qualche casa si intravede in lontananza, poi alberi e il sole delle due che nonostante sia gennaio scalda ancora.

Ugo sulla scalinata che entra in a Serre di Pentema

Incontriamo due signore che abitano in una casa lungo la strada – vengono nel week end – e ci raccontano che oltre loro c’è anche un’altra famiglia nei giorni festivi; un ragazzo ci vive anche durante la settimana… per il resto non c’è una gran folla!

Il borgo è un gioiellino, ci addentriamo per le strette vie e proviamo a immaginare com’era vivere lì nei secoli scorsi. Le signore ci consigliano di proseguire il cammino fino a raggiungere Tinello, l’altra frazione prima di Pentema.

Imbocchiamo un sentiero in paese e improvvisamente ci troviamo immersi nel bosco e nei muri a secco. Alcuni sono alti diversi metri e ancora in buono stato, altri crollati, persi tra la terra e le foglie ed è chiaro come questi muri delimitassero proprietà, recuperassero terreno prezioso per essere coltivato in un tempo che a noi sembra lontanissimo. 

Il sentiero nel bosco che arte da Serre

Dopo qualche passo si sbuca sul tracciato principale.

Tinello sembra un po’ il villaggio di Frodo, immerso nel verde dei suoi prati, piccolissimo, una manciata di case. È tutto chiuso, passiamo in una piazzetta, poi attraversiamo una porta antica, sembra quasi di entrare in casa di qualcuno. Un paese bellissimo nel suo isolamento. Vorremmo andare avanti, raggiungere Pentema, che vediamo in lontananza, ma ci vorrà ancora un’ora buona di strada.

Edificio a Tinello

Ci fermiamo perché tra una chiacchiera e l’altra non è che siamo andati troppo di buon passo. E ci resta tutta la strada del ritorno.

In conclusione si tratta di un trekking semplice ma lungo: per arrivare fino a Pentema ci vogliono tre ore buone e poi si deve tornare indietro. Anche se al ritorno è quasi tutta discesa. Ad ogni modo non ci sono grandi pendenze.

Si cammina per lo più su asfalto rovinato e su sterrato; soprattutto la parte iniziale della strada è su asfalto e devo dire che toglie un po’ di romanticismo… ma le macchine che passano sono poche. Se si è in vena di avventura e si ha una jeep si può pensare di arrivare almeno fino a Serra di Pentema in macchina, dopo la strada è veramente brutta, oltre che stretta. Il mio consiglio è farla a piedi!

Per quanto riguarda noi, per fare l’itinerario descritto ci abbiamo impiegato circa 4ore e 30 minuti; la previsione andata e ritorno fino a Pentema almeno sei ore.

La Valle Pentemina è nel comprensorio del Parco dell’Antola e si raggiunge o da Montoggio o da Torriglia. Noi siamo passati da Montoggio.

Molte info per trekking nella zona si possono trovare nella guida di Andrea Parodi e Alessio Schiavi: La catena dell’Angola, Andrea Parodi editore

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La compagnia dell'anello

Anello nell’Alta Valle Sturla

Genova, a due passi dal mare, un itinerario ad anello porta alla scoperta di alcuni borghi dell’Alta Valle Sturla. Facilmente raggiungibile anche con i mezzi pubblici, ha il pregio di iniziare in città e di portarci in breve nella natura.

Da Genova Apparizione, Premanico, Pomà, San Desiderio e poi si chiude l’anello, Premanico, Apparizione. Noi l’abbiamo fatto due volte sperimentando partenze e arrivi dalle diverse destinazioni e il consiglio è di partire da Apparizione e seguire poi l’itinerario per Premanico, Pomà, San Desiderio e chiudere l’anello quindi Premanico e Apparizione. 

Facendo il giro in questo modo si camminerà un poco di più all’andata per un percorso quasi sempre nel bosco, piacevole, vario e senza grandi pendenze. Il paesaggio è quello del primo entroterra genovese, caratterizzato da muri a secco, ulivi, orti, fasce abbandonate, castagni.

Apparizione, inizio sentiero, la mattonata da seguire | Foto Ugo Roffi

L’itinerario dura poco più di quattro ore (a seconda del passo, noi ce ne abbiamo messe 4 ore e 15 e siamo camminatori medi) da aggiungere le pause. C’è una fontana a Pomà dove potersi rifornire di acqua e poco più avanti a San Desiderio si può fare pausa nella Società Operaia. L’itinerario è ben segnalato: prima un cerchio con la riga (fino a San Desiderio) poi un quadrato (da San Desiderio a Premanico). Si parte, gambe in spalla!

L’anello di Premanico

Apparizione – Premanico (30 minuti) Si arriva ad Apparizione (Monte Fasce) dove si può posteggiare la macchina dal cimitero o poco più su; per l’itinerario si imbocca la scalinata di mattoni, via Crocetta di Apparizione che sale abbastanza ripida fino a che non si incontra sulla sinistra il segnavia – cerchio rosso con riga – che indica il percorso; si svolta a sinistra fino a che non si incontra un bivio, si sale a destra e poi a sinistra fino a raggiungere la strada asfaltata che porta al Monte Fasce, la si incrocia un paio di volte, quindi si va a sinistra e si imbocca un sentiero lasciando, finalmente, l’asfalto. 

Poco dopo essere entrati nel bosco si incontra questo rudere con evidente il segnale del percorso: cerchio rosso e linea

Si segue sempre il segnavia e poco dopo si incontra un bivio, si va a sinistra e poco dopo si svolta a destra sempre seguendo il segnavia e una serie di cipressi che si rincorrono lungo questa prima parte del tracciato, che comunque è ben segnalato.

Poco dopo le ultime case l’itinerario entra nel bosco. Si prosegue sul sentiero costeggiando il monte, senza particolari difficoltà, il tracciato è praticamente in pianura e in circa 40 minuti si arriva a Premanico. Sulla sinistra si trovano i ruderi di un antico oratorio, sembra sia il più antico della Liguria. Ci si trova ad un crocevia. Da questo punto si può scegliere se andare verso San Desiderio tenendo la sinistra o a Pomà prendendo il sentiero a destra. Avendoli percorsi entrambi il nostro consiglio è andare a destra verso Pomà. 

Ruderi dell’ antico oratorio a Premanico | Foto Ugo Roffi

Premanico – Pomà (1 ora e mezza circa) il sentiero è un pochino più impegnativo della precedente tratta, ma solo perché ha qualche sali scendi e in alcuni punti è esposto, è comunque piacevole anche se un passo sicuro è certamente consigliato. Si prosegue nel bosco addentrandoci nella valle e immergendosi nel verde e nel silenzio. Muri a secco, fasce abbandonate e ogni tanto qualche rudere sono i segni di un territorio coltivato sin dall’antichità. Pomà ci accoglie con un grande prato dove consiglio di fare sosta, visto che è presente anche una fontana con acqua potabile.

Nel bosco verso Pomà | Foto Ugo Roffi

Pomà – San Desiderio (30 minuti) Rifocillati e riposati si va in direzione San Desiderio – un altro percorso sale a Bavari, ma non l’abbiamo ancora provato (in programma prossimamente però) – quindi si scende costeggiando un rio e percorrendo la Via Crucis, (lungo il tratto si vedono le croci) e anche se non particolarmente impegnativo è meglio farlo in discesa… in circa mezz’ora si arriva a San Desiderio. Il borgo è molto carino e ci si può “perdere” tra le tipiche viuzze, ma vale la pena una breve visita alla Società Operaia (del 1902) molto accogliente e ben fornita. 

Una delle croci in legno lungo la Via Crucis da Pomà a San Desiderio | Foto Ugo Roffi

Si chiude l’anello

Molto più breve e facile è la strada del ritorno che in circa un ora e mezzo riporta ad Apparizione. Il segnale da seguire è un quadrato rosso, non è subito evidente, bisogna quindi, proseguendo dalla piazza centrale passare dall’altra parte del torrente e salire lungo una mattonata, via Mogge che incrocia due volte la strada asfaltata (via Terre Rosse), si sale sempre e si incontra il quadrato rosso che d’ora in poi si seguirà. 

La Società Operaia a San Desiderio

La seconda volta che si incontra l’asfalto bisogna scendere qualche metro a sinistra dove si vede una scalinata che entra nel bosco, la si imbocca e in poco meno di un’ora vi porterà a Premanico e poi da lì si torna sul sentiero fatto all’andata e in 30 minuti si arriva ad Apparizione.

Dettaglio lapide presso la Società Operaia

È un sentiero che si può percorrere anche nella stagione calda in quanto prevalentemente nel bosco. Non ci sono punti di ristoro, la Società Operaia non sempre è aperta.

Totale anello 15 km

Località di partenza/arrivo: Apparizione

Durata: 4 ore e 20 senza soste

Dislivello: 500 metri circa

Itinerario provato il 16 agosto 2020 e 18 aprile 2022

Per effettuare il percorso si consiglia di consultare guide e siti locali per essere aggiornati sulle condizioni del tracciato.

Lungo il sentiero, si intravedono i monti sopra Genova e la cava da Forte Ratti
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La compagnia dell'anello Valle Maira

L’anello di Colombata

Un’escursione particolarmente bella e un po’ fuori dagli itinerari classici della Valle Maira, ma di grande fascino sia da un punto di vista ambientale che storico culturale. Con il grande pregio di essere adatta a tutte le gambe, in quanto non si devono affrontare salite o discese troppo ripide: si sale e si scende dolcemente per circa 450 mt di dislivello. Un po’ di allenamento comunque ci vuole!

Panorama da Colombata

Verso Punta della Madonnina

L’escursione classica (Punta della Madonnina) può partire da Lausetto, che si incrocia subito dopo Acceglio (dopo frazione Villar a destra), oppure proseguendo, direttamente nel piccolo borgo di Colombata (1585 m), qualche km più su, dove c’è uno slargo dove lasciare la macchina. (Noi l’abbiamo messa lì).

Da qui si prende l’unica strada asfaltata che sale dolcemente e prosegue per circa un km fino ad incontrare il ponte sul rio Mollasco, che si attraverserà seguendo le indicazione per il Sentiero Prando. Da qui l’asfalto lascia spazio a una comoda mulattiera che si arrampica dolcemente e tra una curva e l’altra lo sguardo corre verso lo spettacolare panorama dell’Alta Valle Maira. Lungo il percorso si incontrano diverse grange (case/ ruderi tipici) fino a raggiungere dopo circa 90 minuti un bivio e la segnaletica ci indica di proseguire a destra dove, dopo un quarto d’ora, procedendo ormai in piano si raggiunge la punta della Madonnina (1965 m) – uno sperone roccioso, splendido punto panoramico rivolto verso Acceglio, il vallone di Unerzio e il vallone di Traversiera.

La compagnia dell’anello colpisce ancora!

L’escursione finirebbe qui (tempo impiegato due ore per la sola andata) ma noi, catturati dalla silenziosa bellezza del luogo e incuriositi da una chiesetta che si intravede in lontananza ci diciamo: «chissà che la strada non porti lì e poi in qualche modo si riesca a tornare indietro… in fondo siamo o non siamo la compagnia dell’anello!». Scherzi a parte, in montagna non bisogna mai avventurarsi troppo… ma alla partenza avevamo visto una strada che scendeva proprio dall’altra parte del ponte, all’imbocco della nostra escursione. L’idea era che raggiungendo quel tracciato si potesse chiudere l’anello.

Un gruppo di escursionisti del luogo incrociati poco dopo ci confermano che l’anello è fattibile, anche se non segnalato, basta camminare ancora un po’.

La Cappella rispunta lungo il percorso

La Cappella della Madonna delle Grazie

Tornati al bivio imbocchiamo la parte sinistra della mulattiera inoltrandoci in una valle meravigliosa e molto ventosa, siamo quasi a 2000 metri, è gennaio ma la neve si è quasi tutta sciolta, a parte in qualche passaggio che ci impegna un po’. Procediamo più lentamente, ma si va bene anche senza ciaspole o ramponcini.

Superata grangia Ponza, l’itinerario non è più segnalato ma si continua leggermente in salita fino ad incontrare dei lavori in corso (una strada in costruzione). È la strada che bisogna imboccare, lasciando quella che si stava percorrendo che invece continua in salita. In circa 45 minuti si raggiunge la Madonna delle Grazie (2000 mt), antico luogo di culto edificato intorno al 1720 grazie al supporto economico di alcune famiglie del luogo “eretta per tenere lontane le schiere degli invasori”, si legge fuori dall’edificio.

Immersi nel silenzio, ad esclusione del vento che soffia incessante, con lo sguardo che spazia tra le montagne delle valle… qualcuno potrebbe anche trovare la fede! Chissà…

Si chiude l’anello

È anche il tempo di una pausa, sono quasi tre ore che camminiamo e quei tavoli e panche di legno fanno proprio il caso nostro. Mangiamo, salutiamo gli altri escursionisti che avevamo lasciato indietro e ci hanno raggiunto e proseguiamo lungo l’unica strada che sempre in discesa ci fa sbucare sul ponte dal lato opposto da dove si era partiti.

La strada dopo qualche chilometro (dalla chiesa) diventa asfaltata e procede agevolmente fino a Colombata. Noi abbiamo impiegato poco meno di un’ora mezza.

In estate è possibile raggiungere la Cappella anche con la macchina (per fuori strada), in inverno invece è percorribile solo a piedi. Il percorso dell’andata invece è solo su mulattiera. 

Ponte che si incrocia poco dopo l’inizio della discesa sulla via del ritorno

Località di partenza/arrivo: Colombata (da Dronero proseguire verso Acceglio e poi girare verso Lausetto e poi continuare verso Colombata, la strada è stretta ma tutta asfaltata).

Durata: 4 ore 30 minuti senza soste circa per l’anello; per raggiungere Punta della Madonnina 2 ore, solo andata e ritorno sulla stessa strada

Dislivello: 450 mt circa

Percorso parzialmente segnalato 

Escursione fatta il 4 gennaio 2022

Per effettuare il percorso si consiglia di consultare guide e siti locali per essere aggiornati sulle condizioni del tracciato.

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La compagnia dell'anello Trekking nella storia

Stonehenge alla ligure

La meraviglia della natura e il mistero della storia si incontrano sulla Strada Megalitica anche conosciuta come la Stonehenge” del Beigua, un itinerario nel cuore della preistoria particolarmente interessante sia da un punto di vista storico che naturalistico.

Alcune pietre di dimensioni impressionanti lungo il tracciato

Siamo a pochi chilometri da Varazze – nel Parco Regionale del Beigua – e l’itinerario alla scoperta di queste antiche e maestose pietre parte dalla piazza di Alpicella (posteggio). Da qui si prosegue lungo via Ceresa (indicazioni: NTL), la strada oggi asfaltata taglia la costa del monte anticipando la vista del Monte Greppino e prosegue (almeno per 45 minuti) fino all’imbocco del sentiero vero e proprio che condurrà verso la Strada Megalitica. È un sentiero piuttosto semplice e adatto a tutti quello che dopo poco meno di un’ora conduce alla Stonehenge del Beigua (indicazione N).

Lungo il tracciato si incontrano moltissimi muri a secco, per lo più abbandonati e in decadenza ma che segnalano come l’area fosse un luogo antropizzato sin dall’antichità; ed è in un crescendo di bellezza e stupore che si entra passo dopo passo nella preistoria. 

Non c’è foto che tenga, una volta varcata la soglia l’incanto cattura l’occhio e anche il camminatore meno attento non può che rimanere senza fiato mentre cammina nella penombra del bosco lungo su un viale lastrico bordato da un filare di maestosi faggi e affiancato da possenti pareti di pietra. La parete nord è costituita da macigni ormai quasi completamente abbattuti, mentre la parete a valle è formata da una successione di pietre di diversa misura sino a costruire un muro continuo. 

Il percorso termina in corrispondenza di un cerchio di pietre fitte affiancate al cui centro si trova un masso orientato verso il Monte Greppino.

Foto Ugo Roffi

Lungo il tracciato si incontrano diversi cartelli informativi che suggeriscono come il percorso sia caratterizzato da elementi che fanno pensare alla cultura celtica e che presuppongono un uso dell’area per scopi rituali e religiosi.

Lungo il cammino si può fare una deviazione e in poco meno di trenta minuti si raggiunge il Monte Greppino (indicazione T), rilievo nudo e roccioso, famoso sin dall’antichità per la sua caratteristica di attirare i fulmini e per questo era ritenuto sacro. Da qui si gode un ottimo panorama, dal Monte Beigua alle spiagge del ponente ligure.

Panorama dal Monte Greppino – Foto Ugo Roffi

Il cammino può proseguire fino alla Cappelletta Faie dove si raggiunge con una larga carrareccia che scende dolcemente e ripercorre le tappe della Via Crucis e termina al bivio dove si trova la Cappelletta. Andando a destra (seguendo la strada asfaltata) si torna dopo più di un’ora ad Alpicella. In alternativa si ritorna sui propri passi ripercorrendo la strada megalitica e l’itinerario già fatto a ritroso.

Per effettuare il percorso si consiglia di visitare il sito del parco: www.parcobeigua.it

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La compagnia dell'anello Trekking nella storia

Sulle tracce della ex Guidovia

Trekking verso il Santuario della Guardia alla scoperta di un pezzo di Genova industriale: la ex guidovia.

Pannelli informativi –

Di questi tempi farsi guardare con un occhio di riguardo dalla Madonna potrebbe avere i suoi risvolti positivi… non so se è un caso ma nell’ultimo anno sono capitata diverse volte sui sentieri che portano al Santuario della Guardia e nonostante ognuno abbia il suo fascino… il percorso della Guidovia mi è restato nel cuore.

Dalla Gaiazza, partenza. La truppa al completo!

Un po’ di storia 

Per gli appassionati di archeologia industriale – anche se in realtà di manufatti non ce ne sono più – è un must, anche perché la Guidovia è la prima e unica applicazione in Italia del brevetto dell’ingegnere Alberto Laviosa (1877-1959) che usava la trazione su gomma unendola alla guida su rotaia. Anche definito autoguidovia.

La Guidovia nasce da un fortunato connubio tra ingegno e devozione e diventa presto parte del paesaggio industriale che caratterizzava il ponente genovese, allora chiamata la Manchester d’Italia. 

Tracce della Guidovia lungo percorso

Già da fine Ottocento si parlava di quale mezzo fosse più adatto per raggiungere il Santuario mariano, ferrovia di montagna, ferrovia elettrica, un sistema misto di tram e funicolare, fino all’arrivo di Carlo Corazza, imprenditore e azionista delle Autovie Piacentine, che in segno di devozione dopo essere guarito da una malattia ai polmoni, decide di realizzare il sogno di molti pellegrini.

La guidovia 

I lavori iniziano nel 1924 e si concludo nel 1929 ma la tratta viene completata e inaugurata nel 1934. Si tratta di una linea a binario unico, lunga complessivamente 10.594 metri, con un dislivello di 704 metri ed una pendenza media del 66,5 per mille, massima dell’83 per mille. Partenza da Serro e in 45 minuti toccando varie stazioni si arrivava al Santuario, un viaggio lento, confortevole e panoramico che per 38 anni rappresentò una valida alternativa per pellegrini, lavoratori e turisti. In periodo di guerra veniva invece utilizzata per sfollare parte della città. Nel 1967 con l’arrivo della strada carrabile cadde in disuso e venne chiusa. La maggior parte del materiale rotabile è andato perduto fatta eccezione per la motrice n.1 che si trova al Museo dei Trasporti di Villa Fantasia sul Lago Maggiore.

giochi per bambini… e non solo

Fortunatamente nel 2006 in comune di Ceranesi ha recuperato la parte del tracciato che da Gaiazza arriva al Santuario e oggi è diventata una bella passeggiata adatta a tutti.

Il trekking 

Il percorso classico parte in localita Gaiazza dove è subito visibile l’arco con la scritta Guidovia e i pannelli informativi che ne raccontano la storia. Poco prima si incontra anche una trattoria dove vale la pena fermarsi, magari al ritorno della passeggiata per una merenda (la focaccia è ottima).

Noi invece siamo partiti da Pontedecimo, allungandola quindi di una quarantina di minuti. L’imbocco del sentiero è dietro il campo sportivo “Rinaldo Grondona”, alla sinistra si trova una scalinata di mattoni, si procede sempre in salita, si supera il viadotto ferroviario e si continua a salire, fino a raggiungere la strada asfaltata in località Case Marseno, si prosegue sulla destra rientrando nel verde, si raggiunge Case Zuccarello e si è di nuovo sulla strada asfaltata, qui si segue l’indicazione per Gaiazza che si raggiunge poco dopo.

panorama, quasi in vetta

Da qui il percorso per il Santuario è segnato molto bene, largo, adatto a tutti, non particolarmente faticoso, molto panoramico ed adatto in ogni stagione. Non ci sono grandi difficoltà, la salita ha una pendenza moderata ma si tratta comunque di quasi 7 km (da Gaiazza solo andata) e un po’ allenati bisogna esserlo, soprattutto se si vuole tornare indietro.

Il ritorno

Il mio consiglio è di tornare dalla stessa strada, noi abbiamo deciso di chiudere l’anello, perché avevamo letto di un sentiero che portava a Bolzaneto, non l’abbiamo trovato e siamo scesi passando “fuori strada”, per il bosco, andando un po’ a seguendo google map, un po’ a sentimento. Ma in taluni tratti era piuttosto impervio, per questo lo sconsiglio.

cappelletta votiva lungo il percorso

Durata percorso (solo andata): da Gaiazza 2,30- 3 ore da Pontedecimo circa un’ora in più

Lunghezza: da Pondecimo Km 9, da Gaiazza circa 7 solo andata

Difficolta: T (turistico) da Gaiazza E (escursionistico) da Pontedecimo

Per approfondire la storia della Guidovia: C’era una volta il futuro A cura di Giovanna Rosso del Brenna e Massimo Minella; Edizioni La Repubblica – Università di Genova, 2021

Arrivati 🙂 con Ugo Roffi

Percorso fatto il 26 dicembre 2019

Questo racconto vuole essere solo uno spunto, chi decidesse di cimentarsi in questo trekking è consigliabile verifichi informazioni più dettagliate sul percorso.